sabato 25 giugno 2011

EROI PER CASO


Eroi per caso

Di quanti eroi, ancora questa terra,
declamerà il coraggio e le virtù?
Sembrano tutti  dei Cesari in Senato
e Cassio e Bruto il popolo quaggiù.
Certo i codardi non sono Cincinnato
ne cavalieri del probo re Artù,
non hanno ne presente ne passato,
sono  semi  transgenici da serra.

Ahimè!! Non c’è più pace senza guerra,
la mafia è una cultura, una ragione;
tutti la schivano dalla loro mente
pensando ad un quid, senza soluzione.
Popolo ignavo  ad un male  perdente
chiedi la vita al giudice Falcone,
a Borsellino e al General vincente
del terrorismo, ed ogni ben sotterra.

5 commenti:

  1. «Il coraggio della solitudine».

    1.- Vorrei, innanzi tutto, soffermarmi alquanto sul titolo di questa piece teatrale bellissima, in cui musica e parola si integrano mirabilmente nel rievocare giorni indimenticabili: giorni di lotta, di tormento,di passione. Coraggio e solitudine appaiono a ben guardare come i due poli attorno ai quali ha ruotato la vicenda umana e tragica delle vite di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino.
    E fermiamoci alquanto ad esaminarli. Il primo ( il coraggio) è certamente l’elemento di spicco che ha mitizzato la loro esistenza, che li ha collocati nell’empireo degli eroi di prima grandezza, che li ha fatti oggetto da parte della parte sana della popolazione italiana – e anche all’estero – di una vera e propria venerazione, di un culto che ha qualcosa di religioso. Ma tale coraggio nella formula adottata dagli Autori della cronaca musicale che oggi viene presentata nella versione Digital video Disk, sembra nascere dalla condizione di solitudine in cui entrambi i personaggi si sono ritrovati a cagione della dirittura morale con cui hanno affrontato la loro difficile missione, della intransigenza professionale di cui essi han sempre dato prova nella loro attività . Si tratta a ragion veduta di quella solitudine cui Giovanni Falcone alludeva allorquando spiegava che «si muore perché si è soli». E dunque è lo stato di chi viene lasciato solo con ingeneroso atteggiamento di chi avrebbe dovuto provvedere ad impedire che un tale stato di cose si verificasse. Si tratta in definitiva di ciò che forse potrebbe designarsi in termini forse anche più evidenti, come isolamento. Una situazione creata dall’esterno provocata, cioè, dal disinteresse colpevole altrui, come più avanti nel testo viene in effetti meglio precisato.
    Di certo la solitudine come spontaneo atteggiamento dello spirito umano ben si addice a chi eserciti l’arte di giudicare il proprio prossimo. Potrebbe addirittura sostenersi che essa possa costituire una condizione necessaria per chi si accinga a dirimere super partes le controversie degli uomini. E, quindi, per entrambi i protagonisti che oggi onoriamo, magistrati di razza, essa faceva parte del loro bagaglio culturale, costituiva il cognito scotto della loro professione, il corollario indefettibile del giuramento ( solenne quanto quello d’Ippocrate ) prestato allorquando essi ebbero l’onore d’indossare per la prima volta la toga.
    Non così, per contro, allorché la condizione psicologica derivi dall’esterno, quando essa sia, dunque, frutto della compiacente negligenza altrui, quando ci si trovi nella situazione in cui si cade quando si è abbandonati da chi avrebbe avuto il dovere di sorreggerti, di tutelarti non soltanto sotto l’aspetto fisico, ma anche sotto quello morale, lasciando svilupparsi e crescere indisturbata una coltre immonda di calunnie velenose. Tutti dobbiamo infatti ricordare, a disdoro di coloro che concepirono l’operosa calunnia,che si giunse pesino ad accusare l’incolpevole soggetto passivo del delitto, Giovanni Falcone, d’aver simulato un attentato depositando personalmente il tritolo rinvenuto sulla rocciosa scogliera, approdo della villa dell’Addaura da lui temporaneamente abitata. E il testo di Monti implacabilmente ed opportunamente ne fa espressa memoria.
    Sicché, in realtà, i due termini ( coraggio e solitudine) sembrano indissolubilmente legati da un nesso causale, eziologico; derivano in sostanza uno dall’altro, si integrano, si confondono in un unico contesto, finiscono col costituire certamente anche nelle intenzioni degli Autori, un’endiade, cioè l’uso di due vocaboli per indicare un solo concetto.
    . E’ l’endiade che giustifica il tormento, la passione, il sacrificio supremo, la lotta condotta con i mezzi della legalità ma subìta senza esclusione di colpi, la fine dei due purissimi eroi, i cui nomi sono assurti quali stelle di prima grandezza nel firmamento di coloro che hanno sacrificato la vita per un altissimo ideale di giustizia.

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  2. Per questo è nostro dovere ricordarli, far sì che essi non vengano dimenticati, che non venga sepolta dall’oblio la grande lezione di vita, di coraggio, di rettitudine, di legalità che essi ci hanno lasciato.
    E quale ricordo può esser più opportuno, più efficace, più suggestivo, di questo contributo apprestato col magistero dell’arte, che l’opera del giornalista scrittore Giommaria Monti e del compositore Stefano Fonzi ha offerto ed offre al nostro ascolto, alla nostra visione, attraverso il dvd, che oggi ho l’onore di presentare. Come è noto, la magistrale, commossa rievocazione si è avvalsa della prestigiosa voce di Remo Girone e dell’accorta regia di Claudio Pirandello il quale ha nel proprio Dna ( com’è palese del cognome di cui si fregia) il germe fecondo della genialità teatrale. Sicché, tutti codesti soggetti, tutte codeste forze riunite hanno compiuto il miracolo di dar vita ad un’opera tecnicamente perfetta, di grande suggestione, di notevole impatto, di sicura presa sul pubblico, come tutti coloro che vi hanno assistito hanno potuto constatare. E oggi le meraviglie della tecnica moderna ci concedono la possibilità di riascoltare, di rivedere, di rivivere insomma, di rievocare la magia d’una voce, delle parole appassionate che ha pronunciato, della musica che ha sapientemente illuminato gli spazi in cui la voce taceva, ricreando il clima, la temperie, rinnovando armonicamente le ansie, i patemi d’animo, l’esultanza, i disinganni, lo sconforto; rivelando con note appassionate in cui talvolta echeggiano incalzanti ritmi orientalizzanti, la sofferenza di chi si sente tradito, incompreso, avversato anche da coloro che con la sua opera saggia e coraggiosa aveva cercato di proteggere colpendo inesorabilmente un’organizzazione criminale feroce e proterva.

    2.- E il testo semplice e chiaro, ma suggestivo ed efficace del Monti incomincia proprio dalla fine, riportando le parole di Paolo Borsellino allorquando ricorda d’aver raccolto gli ultimi aliti di vita di Giovanni Falcone che spirò fra le sue braccia. In quella occasione egli, rivelando d’aver pensato ad un appuntamento rinviato, forse profetizzò incosciamente il suo stesso appuntamento con la morte che seguì di lì a poco organizzato dalla stessa feroce mano criminale. L’incipit collima,quindi, con l’explicit per una singolare concordanza fra i due personaggi, fra le due esistenze, fra i due destini. Due persone unite in vita anche sia dalla religiosa concezione della missione del giudice, sia nella sincera amicizia nata nell’infanzia vissuta nel comune quartiere cittadino, unite nella morte, atroce ma gloriosa, perché falciate entrambe dalla stessa mano criminale.
    Ma il dettato dello scritto ripercorre agilmente gli anni della disattenzione in cui lo Stato sonnecchia compiacentemente con colpevole sottovalutazione del fenomeno mafioso. E’ il momento del sacco di Palermo, della speculazione edilizia, l’ora, dell’asservimento della città al potere oscuro, ma, tuttavia, ben avvertibile di biechi criminali, tramite uomini politici ad essi indissolubilmente legati per conseguire guadagni favolosi, per sfruttare il sudore santo della gente onesta e laboriosa quale in massima parte è quella nata in terra di Sicilia.
    E la suadente voce narrante continua a dipanare la matassa degli anni che preludono all’opera penetrante del giudice, gli anni della mattanza degli uomini che si oppongono con l’usbergo della loro intelligente onestà all’opera nefasta della criminalità organizzata. Cadono l’uno dopo l’altro Cesare Terranova, Boris Giuliano, Mario Francese, Michele Reina, Rocco Chinnici, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa.

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  3. Ma ecco d’improvviso come un lampo nel cielo fosco, una luce s’accende: Tommaso Buscetta l’uomo dei due mondi, il contrabbandiere ricercato dalle polizie di mezzo mondo, accetta di collaborare. Perseguitato dai vincenti rampanti della faida in corso nella congrega di “cosa nostra” ne svela la struttura, i protagonisti, le strategie. E Falcone inizia l’interrogatorio per giorni, per mesi, attraverso una comunanza di vita che crea fra loro come un legame di comprensione reciproca, di scambievole fiducia, sicché i misteri di “cosa nostra” si dipanano e si rivelano nel modo più eclatante. E il giudice scrive con la sua stilografica , con la sua scrittura arrotondata,in cui le e somigliamo alle a, scrive quelle parole che resteranno incise per sempre nel libro della storia della nostra tormentata isola, che resteranno aere perennius nella storia d’Italia.
    Ed è da mettere nel dovuto risalto che la ricostruzione dei tanti avvenimenti fornita dal testo che andiamo esaminando è lucida, obiettiva, senza ombra di settarietà, costituisce cronaca fedele, ma insieme contiene i germi d’un severo giudizio.
    Falcone cerca i riscontri. A poco a poco il processo, il più grande processo della storia giudiziaria del mondo, è pronto per il giudizio. Caponnetto, siciliano di Toscana,- come il Monti argutamente lo definisce, gli conferisce il crisma finale assumendo su di sé quell’enorme complesso d’indagini del pool costituito da Falcone, Borsellino, Leonardo Guarnotta,e Giuseppe Di Lello.
    Il processo era, dunque, pronto per approdare al giudizio, ma c’era lo scoglio di trovare chi avesse il coraggio di farlo. Di ciò il testo di Monti poco dice ed io ne rispetterò i confini, di certo dovuti alle necessità di una sintesi efficace. Ma colgo l’occasione per avvertire chi avesse interesse a conoscere tutta la verità sugli antefatti, e sullo svolgimento del maxiprocesso nelle sue varie fasi che in autunno uscirà il libro che ho intitolato Il maxiprocesso, venticinque anni dopo in cui mi soffermo sugli antefatti poco conosciuti di quel processo, ne esploro tutti i risvolti ne svelo le difficoltà, i sacrifici; libro edito per i tipi d’un coraggioso e intelligente editore siciliano Mauro Bonanno che ha creduto e crede nell’opera che sembra esser stata valutata, per contro, con indifferenza preconcetta da parte di qualche editoria nazionale. Volume che si onora d’esser pubblicato col patronato della fondazione Buttitta.
    Intanto la suggestiva voce di Remo Girone ci dà conto in poche, felici battute di tutte le forze più o meno oscure che si mossero contro lo straordinario lavoro di Giovanni Falcone e dell’equipe da lui guidata, dalla repugnanza accademica nei confronti di un monstrum processuale, allo sconcerto, sapientemente alimentato, di certa parte della pubblica opinione che mal tollerava, ad esempio, lo strombazzare delle sirene delle auto blindate, senza considerare che esse costituivano solo un mezzo per difendersi dalla strategia criminale.
    Ma intanto il processo, il grande straordinario processo, attraverso mezzi appositamente all’uopo predisposti, attraverso un manipolo di uomini e di donne onesti e disposti ad ogni sacrificio rende onore al suo nome: procede, cioè, nonostante le difficoltà obiettivamente esistenti, o artificiosamente create, e il 16 dicembre 1987 alle ore 19 circa chi oggi vi parla legge un dispositivo lungo una cinquantina di pagine, pronunciando per 19 volte la parola: ergastolo!
    Tutta Italia si ferma attonita e talvolta entusiasta. La mafia, dunque, non è invincibile. Il pool compostamente esulta. Ma la vittoria ottenuta a malgrado delle Cassandre palesi o nascoste costerà cara a Giovanni Falcone. Gli verrà negata la successione a Caponnetto, la direzione della Procura di Palermo, e quando stanco e deluso accetta di svolgere al Ministero della Giustizia l’incarico di Direttore Generale gli si rimprovera persino d’esser entrato a far parte di ciò che viene con disprezzo chiamato Palazzo, dimenticando che il merito ha anche il diritto d’esser ricompensato.

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  4. 3.- Lo spartito musicale che segue armonicamente l’evolversi degli avvenimenti passa ora da un ritmo concertante teso a segnare l’incessante procedere dei giorni che s’avviano rapidamente verso l’epilogo, a preannunciare la tragedia imminente; e la melodia sapientemente si affina in singulti dolorosi, assume a poco a poco i toni mesti di un’ elegia.
    I violini sembrano piangere, i corni vibrare lamenti, i violoncelli gemere suoni gravi e dolenti, i flauti sospirare. La tragedia è nell’aria: uomini pravi l’hanno ideata e resa purtroppo inevitabile.
    Poi, d’un tratto la melodia s’impenna in un crescendo via via sempre più fragoroso, che sembra non aver mai fine, tanto le note si accavallano le une sulle altre, si scatenano nel pentagramma come in una sarabanda di dèmoni impazziti, in cui sembra riecheggiare l’assordante rombo e lo schianto fremebondo della deflagrazione, il clangore metallico delle lamiere contorte, l’urlo inumano degli innocenti i cui corpi vengono tranciati e proiettati lontano dalla terribile esplosione che scava una voragine sull’autostrada. E’ la strage di Capaci in cui vengono brutalmente dilaniati i corpi di Giovanni Falcone, di Francesca Morvillo, moglie fedele e coraggiosa, e dei componenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.
    Non passa molto tempo e anche colui che raccolse gli ultimi respiri di Falcone, Paolo Borsellino finirà maciullato nel momento in cui adempiva ad un atto di pietà filiale, insieme con gli elementi della sua scorta Agostino Catalano, Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina.
    Il sacrificio dei puri di cuore è, dunque, consumato. Che resterà di tanta fede, di tanto fervore, di tanto coraggio?
    La musica bruscamente s’arresta per poi tacere del tutto. Sì, ormai è soltanto il momento di piangere.

    4.- Ma da quelle bare, da quel sangue innocente, come per miracolo, è sorto un fiore magnifico e rutilante, che ha i colori dell’iride. Come nel passo evangelico di Giovanni, richiamato significatamente dal Monti, è sbocciato nelle nostre anime il fiore della speranza, che pur nell’orrore, ci richiama all’imperativo categorico del ricordo, ci aiuta a combattere, ci aiuta a vivere ed operare da veri uomini.

    Alfonso Giordano

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  5. Ill.mo sig. Presidente, questa sua nota, potrebbe valere quanto il dispositivo della sentenza che ha pronunciato al maxiprocesso, se tutti, ma proprio tutte le persone oneste e di buona volontà si destassero dal torpore e dall'ignavia che li opprime.. Il suo richiamo denota lo stridente sconcerto di chi per la comunità si offre fino all' estremo sacrifico. Ovviamente son ben lieto ed onorato di poter interloquire con Lei, ma la sua parca e generosa condizione di Uomo di Stato e soprattutto
    di onesto cittadino, no le da l'opportunità di elevala allo stesso rango degli eroi in parola. So che non ricerca glorie, ma solo senso di giustizia e pace sociale. Auguro a Lei ed i suoi corregionali ed ovviamente a tutti gli italiano, di ritrovarsi intorno agli ideali equilibrati di Falcone e Borsellino, che con la loro morte, hanno contribuito magistralmente alla definitiva sconfitta morale e speriamo materiale..delle mafie.....La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. (Giovanni Falcone).. Dio Lla benedica e illumini tutti noi.

    Lussorio (Rino) Cambiganu

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